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a cura di Piero Evandri
territorio del fermano
Il vecchio tracciato della ferrovia
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Il vecchio tracciato della ferrovia » di Pino Bartolomeni
Il Trenino
La storia della Ferrovia Porto San Giorgio Fermo Amandola (Km 56+920) inizia il 16 ottobre 1878 quando fu presentata una richiesta ufficiale per realizzare una ferrovia che congiungesse la valle del Tenna alla linea Adriatica.
Da quel giorno si susseguirono progetti, polemiche ed altre vicissitudini quando il 2 luglio 1905 vi fu la posa della prima pietra presso Servigliano, equidistante dai due capolinea. Varie ditte rinunciarono alla commessa finché si presentò sulla scena l’Ing. Ernesto Besenzanica il quale il 3 maggio 1903 accettò l’ardita sfida della strada ferrata.
Il termine non sembri improprio poiché ancora oggi, lo studio del tracciato, mette in luce il suo mirabile ingegno per la realizzazione di soluzioni tecniche e strutturali che lasciano sorpresi. Il Besenzanica non era comunque nuovo a tali imprese poiché già ebbe realizzato linee ferroviarie in territori orograficamente complessi.
Numerose furono le idee circa il tracciato poiché i 16 km ed i 350 metri di dislivello che comportavano l’ascesa e discesa da Fermo non erano cosa da poco. Il Nostro fu quindi obbligato ad utilizzare lo scartamento metrico necessario per le accentuate tortuosità presenti. L’opera venne comunque realizzata a tempo di record ed il primo treno corse il binario il 14 dicembre 1908. In totale 26 mesi per il progetto e 40 per l’esecuzione! Inoltre questa rapidità non inficiò assolutamente la qualità e l’efficienza dell’arte poiché ancora oggi, con oltre 50 anni senza manutenzione molte delle opere in muratura ancora reggono né mostrano voglia di cedere alle ingiurie del tempo. Alcuni ponti sono ancor oggi transitati da mezzi agricoli. Ma non fu solo ciò che ancor oggi ci lascia lodare l’ingegno e la bravura del Besenzanica; infatti egli ideò un tronco tramviario che con una diramazione permetteva ai viaggiatori da Porto San Giorgio di raggiungere direttamente la centrale Piazza del Popolo. Questi era “Lu Trinittu” ma, in tal modo si nominava anche l’intera linea, altresì chiamata “La Besenzanica”. Non contento ideò progetti di ampliamento oltre Amandola: verso sud avrebbe raggiunto Ascoli unita a Roma dalla Ferrovia Salaria; verso ovest, attraverso i Sibillini avrebbe riunito Visso a Terni mentre a nord raggiunta Tolentino si sarebbe spinta sulla Ancona – Orte. Ma nel frattempo, in poco più di un anno (1927-28) egli elettrificò completamente la linea con alimentazione trifase facendole raggiungere il suo massimo splendore. Si era ora in piena efficienza con 13 stazioni e 4 fermate. Vi erano anche due brevi tunnel. La tranquillità però ebbe vita breve: la guerra portò tagli, riduzioni e soppressioni sia nelle corse che tra il personale, richiamato alle armi.
Plamietrie del tracciato
Il periodo dell’occupazione poi, fu causa di gravissimi danni causati dai bombardamenti e dalla ritirata tedesca che distrusse impianti ed infrastrutture e saccheggiò materiali ed attrezzature. Nonostante il prodigarsi degli addetti, il periodo postbellico non segnò alcun rilancio della linea. Il servizio venne riattivato con la ricostruzione dei ponti bombardati e delle strutture principali gravemente danneggiate ma la penuria di mezzi e risorse portò ad un crollo nella qualità del servizio. Il materiale rotabile era con sempre meno frequenza sottoposto a manutenzione ed il crescente trasporto su gomma si presentava come un formidabile concorrente che sottraeva utenti e, conseguentemente, risorse alla ferrovia. Oramai anche l’AFA meditava di riconvertirsi quanto prima al più pratico e remunerativo trasporto stradale. Come sempre accade in questi frangenti, sembrava si aspettasse solamente un evento opportuno, una “scusa” per effettuare ciò in modo silenzioso ed indolore. Ciò, puntualmente, si verificò nell’ottobre del 1955 quando il maltempo dell’autunno colpì pesantemente la linea ferroviaria. A causa di una frana tra le stazioni di Santa Vittoria e Monte San Martino venne disabilitata la tratta Servigliano - Amandola e sostituita da un servizio di autobus; oramai 1/3 della linea non era più percorsa dal treno ed il destino della ferrovia poteva dirsi irrimediabilmente segnato. Gran parte delle colpe gravano anche sull’allora classe politica che non appoggiando le legittime istanze che salivano dalla base popolare mantenendosi tiepida o peggio sorda non impedendo, o almeno rinviando, lo sciagurato evento. Giunse così il 27 agosto del 1956. Dopo meno di 48 anni di esercizio (metà con trazione elettrica), si effettuava l'ultima corsa tra Servigliano e Fermo. La Ferrovia fu prontamente disarmata e tutti i suoi averi consegnati in eredità alla gemella Sangritana che inaugurata nel 1917 ha continuato per ben più tempo il suo felice esercizio.
Nonostante siano trascorsi quasi 60 anni dall’ultima corsa ed in questo periodo l’urbanizzazione sia stata assai pronunciata, tutto ciò non sembra aver pregiudicato la conservazione (doveroso sottolineare involontaria) di buona parte delle vestigia della linea ferroviaria. Non sembri esagerato il termine poiché, tutto ciò a lei relativo può, a ragione, ricadere nell’ambito dell’archeologia industriale. Dei 31 fabbricati di servizio non sono più presenti solamente la stazione di Monte San Martino, le rimesse di Fermo ed Amandola ed il casello n.2 ai piedi della Castiglionese. Molte strutture sono state preservate poiché acquistate da privati e riutilizzate a scopo abitativo; purtroppo le loro fattezze sono state, il più delle volte modificate se non stravolte ma la mancata tutela ha, purtroppo, ineluttabilmente portato a ciò. Ve ne sono di alcune che però sono state restaurate seguendo un criterio conservativo. Le 13 stazioni sono nell’ordine: Porto San Giorgio (0+602), Fermo (10+3139, Monturano-Rapagnano (15+967), Grottazzolina (24+192), Magliano (25+987), Montegiorgio (27+863), Belmonte (29+983), Falerone (33+627), Servigliano (36+924), Santa Vittoria (43+380), Monte san martino (44+881), Montefalcone (48+983), Amandola 856+964); più 4 fermate: Castiglione (5+595), Girola, Parapina, Marnacchia (52+772). Vi era un casello anche in corrispondenza dela diramazione (fermata cimitero). Diverso discorso è necessario per i ponti ed i viadotti. Essi sono in piedi nella loro totalità e, particolare non trascurabile, solidi e "calpestabili"; non tutti sono ormai collegati da entrambi i lati, ma le strutture si mostrano ancora stabili. Solamente sei sono quelli scomparsi e precisamente: il viadotto Madonna del Ferro, di cui rimane solo un pilone poiché il suo gemello è stato abbattuto per la costruzione di una bretella di collegamento; il ponte sul Tenna presso Grottazzolina; il ponte sul fosso Castagneto presso Querciabella tra piane di Montegiorgio e Piane di Falerone; il ponte sul fosso Valentella e quello sul fosso Valle Cupa tra il casello di Parapina (Servigliano) e la stazione di Santa Vittoria ed infine il ponte sul Tenna alle porte di Amandola che ha ceduto a causa di una piena.
Galleria fotografica
I ponti che superano i cento metri di lunghezza sono quattro (Grottazzolina, Servigliano, Villa Basso ed Amandola); di questi solamente il primo è crollato totalmente. Mentre per l’attraversamento del Tenna presso Servigliano si è scelto di aggregare il ponte ferroviario al preesistente stradale; questo ponte, che sfiora i 300 mt è il più lungo in assoluto. I due tunnel sono ancora intatti: uno è stato liberato dalla terra e la sporcizia che lo avevano ostruito riportandolo al transito mentre il secondo ha soltanto qualche crepa che però non sembra pregiudicarne la stabilità (per ora). Il sedime propriamente detto è rinvenibile e calpestabile nella sua quasi totalità tranne alcuni brevi tratti occupati da costruzioni. Un problema attuale è invece capire quali siano i tratti ancora di competenza della ex concessionaria e/o demaniali ed anche quali siano i tratti acquistati da privati oppure quelli che sono stati inglobati “silenziosamente” all’interno di proprietà private. Non si pensi comunque che l’opera di ricerca e scoperta sia conclusa; anche a distanza di pochi mesi, ritornando su luoghi già visitati è possibile scoprire qualcosa di nuovo sfuggito allo sguardo altre volte o riemerso grazie a delle opere di pulizia di strade o fossati. Alcune volte invece si trovano sorprese poco piacevoli quando tratti del sedime vengono inglobati in aree edificabili. Se non si deciderà di intraprendere una seria opera di tutela cui concorrano tutti i livelli amministrativi, fra non molto tempo avremo a dolerci di aver perso ancora altre preziose testimonianze della nostra sempre precaria memoria.
La curiosità e, soprattutto, il desiderio di rinvenire sempre nuovi testimoni, porta gli appassionati a battere costantemente il tracciato con la speranza di veder affiorare, un muricciolo o solo una traccia che possa arricchire i già numerosi trofei repertati. Lungo questi safari della memoria appaiono persone, sempre diverse e nuove che volentieri arricchiscono il novero degli aneddoti e dei rimpianti. E’ questo un positivo segno della volontà di preservare e rivitalizzare ciò che resta della struttura? Niente affatto, purtroppo! Vi sono forze nel territorio che da anni, in donchisciottesca solitudine, tentano di rendere vita ad un tracciato così significativo. Inizialmente vi era solo malcelato scherno; oggi invece la “vox populi” è curiosa, mostra simpatia, ostenta una schietta solidarietà. Sciaguratamente l’affrettato disarmo della linea fu (ed ancora lo è) un insormontabile discrimine a qualsiasi sogno di riattivazione sia storica che moderna (metropolitana di superficie ad es.). Questo sarebbe l’obiettivo principe di tutti: come un Sacro Graal “de lu trinittu”. Altri progetti meno ambiziosi includono un ripristino quale percorso pedonale, pista ciclabile, sentiero a cavallo fino ad implorare un restauro che si riduce poi ad una semplice tutela dell’esistente azzardando, in seguito, timidamente l’elemosina di un misero cartello turistico di segnalazione. Dal sogno della rinascita, siamo oramai giunti ad una risolutiva lapide funeraria (!!!). Incredibilmente, ancor oggi dobbiamo nuovamente registrare l’inerzia – ad ogni livello – della nostra classe politica, l’unica che potrebbe unire tutti i vagoni del territorio proponendosi quale unica (e possibile) locomotiva che rimetta in moto il viaggio mare - monti. Anche quello finanziario è un falso problema. L’investimento non sarebbe oneroso e, qualora anche lo fosse, giammai andrebbe a vantaggio di un ristretto “cenacolo filosofico” bensì attiverebbe dinamiche turistiche e culturali, motore di benefici per l’intero territorio. Tutto ciò è ancora lungi dall’essere (o chissà, voler essere) compreso da parte di “chi può”. Continuando, in autonomia, l’oscuro lavoro, resteremo sempre e comunque in fiduciosa attesa di un “segno”.
La storia di questa linea può e vuole essere, per certi versi emblematica. Da un lato abbiamo un brillante e lungimirante Ingegnere (ed attenzione, imprenditore) che riesce a dotare un territorio di una infrastruttura all’avanguardia, capace di affrancare dall’isolamento vaste porzioni del circondario ed essere motore del suo sviluppo (oggi le aree su cui insistevano le stazioni sono frazioni ben più popolose del loro Capoluogo). Per tutta risposta questa risorsa viene trascurata e reietta allo scopo di avere una parvenza che giustifichi la sua dismissione. Resta una seppur magra soddisfazione; nonostante sia trascorso un secolo e solo metà di questo abbia visto Lu Trinittu sferragliare barcollando la Valle del Tenna, il suo ricordo è ancora duro a morire anche nelle generazioni di quei bambini che lo videro in punto di dismissione o di chi ne ha avuto solamente una narrazione scolorita. Quasi epica.
Si profilerà al nostro orizzonte un novello Besenzanica? Il tempo, impietoso, scorre e ci mostra questo giorno sempre più lontano. Ma come ben si sa, la speranza … (…).
Di Pino Bartolomei
Vivere la storia di un tracciato in Mountain Bike.
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